Il nuovo latino
Enrico Signoretti scrive Sul valore di scrivere un blog di IT in Italiano.
Da un lato capisco che il blog in inglese ha una portata decisamente maggiore e capisco anche che alcuni articoli, magari quelli più tecnici e specifici, hanno una rilevanza internazionale maggiore, proprio perché interessano ad un pubblico più selezionato, e quindi i numeri li puoi fare solo all’estero.
Capisco anche che la "lingua ufficiale" dell’IT è l’inglese.
Poi però, se mi guardo intorno, non trovo molti blog in Italia che si occupano di enterprise IT e, soprattutto, non ce ne sono che lo fanno con costanza (non dico quotidiana, ma almeno un aggiornamento ogni tanto quello si). Anzi, sono alla continua ricerca di altri blog Italiani da seguire ma alla fine è pieno di telefonari e sysadmin che scrive articoli per altri sysadmin (spesso riprendendo stessi argomenti già sviscerati 1 o 2 anni fa su blog esteri).
Insomma, il panorama mostra una povertà di fondo abbastanza desolante.
Dato che questo è solo il mio secondo post in italiano1 mi sento un pochino chiamato in causa. È vero che scrivo soprattutto in inglese, ma questo è perché l’inglese è ormai di fatto il nuovo latino.
Sì, latino, non Esperanto - e non solo per ricordo dei miei anni di liceo classico! L’Esperanto è una lingua assurda, creata a tavolino e parlata da nessuno. Il latino è rimasto per secoli dopo la caduta dell’impero romano la lingua utilizzata per comunicare fra persone che parlavano lingue diverse. Il latino è stato finalmente scalzato dal suo discendente, il francese (lingua franca, per l’appunto) che poi ha spadroneggiato fino agli inizi del XX secolo. Solo da allora l’inglese è diventata la lingua internazionale per antonomasia, ed in alcuni ambiti hanno resistito altre lingue fino a poco fa. Ad esempio mio suocero, ingegnere meccanico, ha imparato il tedesco, non l’inglese...
Oggi se un ceco, uno svedese, uno spagnolo ed un cinese devono comunicare, oltre a sembrare l’antefatto di una barzelletta, si parlano in inglese. Non è esattamente una questione di egemonia culturale anglofona, dato che l’inglese ormai è parlato da molte più persone come seconda lingua che come prima.
Se vuoi essere aggiornato, inserito in una comunità di gente che ha i tuoi stessi interessi e non solo che parla la stessa lingua, dovrai per forza almeno arrangiarti con l’inglese. Viceversa, se vuoi che i tuoi post siano visti da più dei dieci lettori di manzoniana memoria, dovrai scrivere in inglese.
Statistiche di questo piccolo blog dicono che la maggior parte degli utenti hanno il linguaggio impostato su en-us
o en-gb
, e pochi su de
, it
e ja
(vorrei sapere chi è il mio lettore giapponese!). Se però teniamo conto che molto spesso en-us
è il default che non viene cambiato, vediamo quanto possano essere internazionali quei lettori in inglese.
Enrico Signoretti se la prende anche un po’ con il campanilismo del mondo tech italiano:
I peggiori sono proprio quelli che, spesso, sono più attivi all’estero. Non è inusuale infatti che quando scrivo articoli con fanno dei commenti che infastidiscono un vendor i dipendenti Italiani si "offendono" e, invece di mostrare il loro punto di vista sul blog, si mettono a mandarmi mail personali per dirmi che sono scorretto o, peggio, ricevo messaggi da amici che mi dicono "qua pensano di fare azioni contro di te" o cose ancora più ridicole.
[…]
Mi piacerebbe più interazione e meno gente stizzita, non si capisce mai per cosa poi. (e non trincerativi dietro le politiche sul social media della vostra azienda perché se no non si spiegherebbe come fanno i vostri colleghi all’estero!)
Qui si incastrano correnti diverse. Il dipendente italiano del vendor internazionale si sente a volte come nell’ultimo avamposto di periferia dell’impero. Non ha né i vantaggi di essere in frontiera, libero di fare quello che vuole, né quelli di avere una struttura solida dietro di sé. Rispetto ai colleghi esteri ha spesso prospettive di carriera più limitata, e come sempre negli ambienti un po’ claustrofobici, la politica diventa cattiva.
Io lavoro in Italia, ma raramente con l’Italia. Interagisco più spesso con clienti in Finlandia che in Italia, e non solo perché misteriosamente in quel paese piccolo e frigido si riescono a fare progetti molto più in grande che non qui da noi.
La conclusione però è la stessa: parliamo inglese, mettiamoci su una piazza più internazionale che possiamo, e l’italiano lo parliamo a casa e fra di noi. Triste? No, realista.