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Tecniche di Sopravvivenza al Lavoro da Casa

Suggerimenti da uno che non va in ufficio da quindici anni

Oggi come oggi, la maggior parte di noi lavora nel famigerato "settore terziario", e quindi tipicamente in ufficio. In Europa come negli Stati Uniti, il settore dei servizi rappresenta circa 80% del PIL. Questa crescita del lavoro in ufficio è un fenomeno relativamente recente; fino a pochi decenni fa, la maggior parte della gente lavorava nell’agricoltura

Il lavoro in ufficio porta tutta una serie di vantaggi rispetto al lavoro nei campi. Tanto per cominciare, si sta al chiuso, seduti, in ambienti abbastanza confortevoli. Magari c’è anche la possibilità di bere un caffè o qualche altra bibita, ed i più fortunati hanno anche qualche collega simpatico con cui chiacchierare. Raramente c’è pericolo di farsi seriamente male, a condizione di stare attenti con le graffette.

Il problema è che i protocolli d’isolamento istituiti dal governo ci obbligano a lavorare da casa invece di andare in ufficio. In Italia in particolare molte persone e molte società si trovano per la prima volta a fronteggiare questa situazione. Per dare una piccola mano, volevo condividere alcune indicazioni basate sulla mia esperienza. Per trovare l’ultima volta in cui lavoravo nello stesso ufficio con i miei colleghi, dobbiamo andare a risalire al 2006. Da allora, ho sempre lavorato in team distribuiti, con capi e colleghi sparsi in vari paesi e fusi orari.

Ecco che cosa ho imparato.

Prenditi il tuo spazio

Una lato positivo del trasferirsi fisicamente da un’altra parte per lavorare è la separazione che si crea fra lavoro e non-lavoro. Se sei in ufficio, stai mediamente lavorando, pause caffè a parte – e se sei a casa, tipicamente non stai lavorando, a parte qualche occhiatina alla mail di straforo.

Quando lavori da casa, questa separazione si perde. Il rischio è che il lavoro ed il non-lavoro si confondano, portandoti a dimenticare di mangiare ed a lavorare fino a notte, oppure a distrarti continuamente con lavoretti e commissioni.

Dove possibile, la soluzione migliore è la separazione fisica. Non lavorare dal divano! Va bene per una mezz’oretta, ma se lo fai per giornate e settimane intere, la tua schiena vi maledirà – e ricordati che adesso come adesso non puoi neanche andare a fare fisioterapia… Trovati un posto specifico dove lavorare, e non andarci quando non stai lavorando. Io sono abbastanza fortunato da avere una tavernetta in cui ho allestito il mio ufficio, ma non tutti avranno questa possibilità. Se però lavori ad esempio al tavolo della cucina, quando hai finito chiudi il computer e spostati dal tavolo.

Può sembrare una cosa piccola, ma cerca di rispettare al massimo gli orari ed anche il vestiario da ufficio. Hai anni e anni di riflessi che ti ricordano inconsciamente che quando ti radi o ti trucchi, stai incominciando la giornata lavorativa. Continua ad utilizzare questi riflessi anche se non esci di casa.

Se ne hai la possibilità, prendi in considerazione anche una corsetta o un giro in bici nel tempo che altrimenti avresti passato da pendolare in macchina o in treno.

Proteggi i tuoi spazi

Se vivi con altre persone, sarà necessario negoziare questa separazione anche con loro. Se ti vedono in casa, avranno naturalmente l’istinto di chiederti una mano o di fare una chiacchiera. Cerca di istituire un segnale anche fisico: se la porta della cucina è chiusa, sto facendo un lavoro di concetto oppure sono al telefono con i colleghi, per cui non sono disponibile. Se la porta è aperta, posso fare una pausa caffè.

Costruisci una routine

Oltre all’organizzazione degli spazi, è importante anche quella dei tempi. Dividi la giornata in unità di tempo, ed assegna ciascuna unità ad un compito specifico. Io personalmente mi trovo bene con la tecnica del pomodoro, semplice e divertente. Fondamentalmente si tratta di utilizzare un timer da cucina per tracciare le attività ed i tempi necessari.

Il mio timer Pomodoro timer personale sulla scrivania

Comunicare, comunicare, comunicare

Lavorare a casa da soli può essere molto isolante, soprattutto per chi è abituato a lavorare a stretto contatto con i colleghi. Almeno finché siamo tutti isolati a casa propria, non sentiamo il pericolo di trovarci esclusi da conversazioni che avvengono in ufficio. Esistono vari modi per fare sì che il team rimanga tale anche senza vedersi di persona per qualche settimana o mese.

La base è una piattaforma di chat sera. Slack è una delle soluzioni più diffuse, con un livello gratis che è più che sufficiente per piccole realtà o per cominciare con questo strumento. L’alternativa più diffusa probabilmente è Microsoft Teams, ma ce ne sono molte altre.

Non cercare di usare WhatsApp, Facebook Messenger, o simili per questo scopo. Per cominciare non hanno la nozione dei "canali", per cui tutte le conversazioni avvengono nei gruppi, né client desktop, né funzionalità serie di ricerca – tutte cose necessarie per poter lavorare.

L’altro motivo per lavorare con uno strumento dedicato al lavoro è per mantenere la separazione fra lavoro e non-lavoro. Se succede tutto nella stessa app, farai molta più fatica a distinguere i due mondi. Soprattutto se sei un manager, evita di utilizzare questi canali se non in situazioni di emergenza.

Troviamoci in video

La chat testuale è uno strumento fantastico, ma se ti senti solo ed isolato dai colleghi, accendi quella webcam! Siamo animali sociali, e vedere in faccia la gente aiuta a rinforzare i legami sociali. La crisi attuale sta portando ad un aumento enorme dell’adozione di strumenti di video conferenza, in particolare Zoom, che ha un’opzione gratis per video chiamate fino a quaranta minuti.

Un altro vantaggio delle video conferenze è che ti costringe a vestirti da persona seria invece di passare la giornata in pigiama e vestaglia, sempre per la questione della separazione casa/lavoro e dei relativi riflessi.

Traccia quello che fai

Infine, può darsi che tu faccia fatica a tirare le somme alla fine della giornata, e che tu ti senta di non aver concluso niente. La soluzione più semplice è di scriverti dei piccoli appunti durante la giornata, ad esempio come commenti agli intervalli di Pomodoro. Se fai un lavoro per il quale è necessaria questa tracciabilità, magari hai già strumenti più specializzati, ma anche se non hai queste esigenze, psicologicamente fa bene tirare le somme alla fine della giornata con dei risultati concreti.

Pianifica per il futuro

È importante pensare adesso a come lavorare da casa perché è estremamente probabilmente che molte persone ed aziende decidano di continuare con questa modalità di lavoro anche una volta rientrata la crisi. Il lavoro remoto ha enormi potenzialità, almeno come complemento occasionale al lavoro in ufficio. Cerca di non prendere brutte abitudini adesso; pensa al lungo termine, non solo alla giornata o alla settimana.

Se hai altri suggerimenti o commenti, di solito mi puoi trovare su Twitter.


🖼️ Foto di Dillon Shook, Harry Cunningham e Andrew Neel via Unsplash, trance il timer a pomodoro che è il mio.

Il nuovo latino

Enrico Signoretti scrive Sul valore di scrivere un blog di IT in Italiano.

Da un lato capisco che il blog in inglese ha una portata decisamente maggiore e capisco anche che alcuni articoli, magari quelli più tecnici e specifici, hanno una rilevanza internazionale maggiore, proprio perché interessano ad un pubblico più selezionato, e quindi i numeri li puoi fare solo all’estero.

Capisco anche che la "lingua ufficiale" dell’IT è l’inglese.

Poi però, se mi guardo intorno, non trovo molti blog in Italia che si occupano di enterprise IT e, soprattutto, non ce ne sono che lo fanno con costanza (non dico quotidiana, ma almeno un aggiornamento ogni tanto quello si). Anzi, sono alla continua ricerca di altri blog Italiani da seguire ma alla fine è pieno di telefonari e sysadmin che scrive articoli per altri sysadmin (spesso riprendendo stessi argomenti già sviscerati 1 o 2 anni fa su blog esteri).

Insomma, il panorama mostra una povertà di fondo abbastanza desolante.

Dato che questo è solo il mio secondo post in italiano1 mi sento un pochino chiamato in causa. È vero che scrivo soprattutto in inglese, ma questo è perché l’inglese è ormai di fatto il nuovo latino.

Sì, latino, non Esperanto - e non solo per ricordo dei miei anni di liceo classico! L’Esperanto è una lingua assurda, creata a tavolino e parlata da nessuno. Il latino è rimasto per secoli dopo la caduta dell’impero romano la lingua utilizzata per comunicare fra persone che parlavano lingue diverse. Il latino è stato finalmente scalzato dal suo discendente, il francese (lingua franca, per l’appunto) che poi ha spadroneggiato fino agli inizi del XX secolo. Solo da allora l’inglese è diventata la lingua internazionale per antonomasia, ed in alcuni ambiti hanno resistito altre lingue fino a poco fa. Ad esempio mio suocero, ingegnere meccanico, ha imparato il tedesco, non l’inglese...

Oggi se un ceco, uno svedese, uno spagnolo ed un cinese devono comunicare, oltre a sembrare l’antefatto di una barzelletta, si parlano in inglese. Non è esattamente una questione di egemonia culturale anglofona, dato che l’inglese ormai è parlato da molte più persone come seconda lingua che come prima.

Se vuoi essere aggiornato, inserito in una comunità di gente che ha i tuoi stessi interessi e non solo che parla la stessa lingua, dovrai per forza almeno arrangiarti con l’inglese. Viceversa, se vuoi che i tuoi post siano visti da più dei dieci lettori di manzoniana memoria, dovrai scrivere in inglese.

Statistiche di questo piccolo blog dicono che la maggior parte degli utenti hanno il linguaggio impostato su en-us o en-gb, e pochi su de, it e ja (vorrei sapere chi è il mio lettore giapponese!). Se però teniamo conto che molto spesso en-us è il default che non viene cambiato, vediamo quanto possano essere internazionali quei lettori in inglese.


Enrico Signoretti se la prende anche un po’ con il campanilismo del mondo tech italiano:

I peggiori sono proprio quelli che, spesso, sono più attivi all’estero. Non è inusuale infatti che quando scrivo articoli con fanno dei commenti che infastidiscono un vendor i dipendenti Italiani si "offendono" e, invece di mostrare il loro punto di vista sul blog, si mettono a mandarmi mail personali per dirmi che sono scorretto o, peggio, ricevo messaggi da amici che mi dicono "qua pensano di fare azioni contro di te" o cose ancora più ridicole.

[…]

Mi piacerebbe più interazione e meno gente stizzita, non si capisce mai per cosa poi. (e non trincerativi dietro le politiche sul social media della vostra azienda perché se no non si spiegherebbe come fanno i vostri colleghi all’estero!)

Qui si incastrano correnti diverse. Il dipendente italiano del vendor internazionale si sente a volte come nell’ultimo avamposto di periferia dell’impero. Non ha né i vantaggi di essere in frontiera, libero di fare quello che vuole, né quelli di avere una struttura solida dietro di sé. Rispetto ai colleghi esteri ha spesso prospettive di carriera più limitata, e come sempre negli ambienti un po’ claustrofobici, la politica diventa cattiva.

Io lavoro in Italia, ma raramente con l’Italia. Interagisco più spesso con clienti in Finlandia che in Italia, e non solo perché misteriosamente in quel paese piccolo e frigido si riescono a fare progetti molto più in grande che non qui da noi.

La conclusione però è la stessa: parliamo inglese, mettiamoci su una piazza più internazionale che possiamo, e l’italiano lo parliamo a casa e fra di noi. Triste? No, realista.


  1. Ecco il primo

Multi-hypervisor

Siccome non mi riesce di commentare sul sito originale, riporto qui un post interessante con i miei commenti.

Uno dei trend visti nell’ultimo anno (ma in realtà iniziato qualche anno fa) è la crescita dell’ecosistema legato alla virtualizzazione (ossia tutti quei prodotti e vendor complementari ai prodotti di virtualizzazione veri e propri) al di fuori dei confini nei quali sono storiacamente nati: molti dei partner storici di VMware ora hanno esteso le loro soluzioni anche ad altri hypervisor, e nuovi prodotti sono nati specifici per gestire ambienti virtuali complessi o quanto meno eterogeni. Una bella definizione a questo fenomeno è stata data da VKernel nel suo post: "Hypervisor Agnosticism
".

Bisogna però specificare che non stiamo parlando di ottenre l’interoperabilità tra i vari tool di virtualizzazione, ma semplicemente l’utilizzo di tool comuni per alcuni particolari compiti, tipicamente la gestione, il monitoraggio e la protezione dei dati.

Esattamente d'accordo: il supporto multi-hypervisor non significa necessariamente piena interoperabilità, ma semplicemente un livello di astrazione che permette di portare a termine un compito senza dover scendere nel dettaglio di ciascuna tecnologia.

L'interoperabilità peraltro richiederebbe accordi fra concorrenti in un mercato che è ancora in rapida evoluzione, e rischierebbe così di rallentare o limitare la sana concorrenza.

Ci si potrebbe chiedere se ha senso e se può portare qualche beneficio? Probabilmente per il singolo cliente no… che motivo potrebbe avere per introdurre nuovi costi legati all’ambiente eterogeneo (benché alcuni strumenti possono essere comuni, il formato delle VM, la loro mobilità, le competenze richieste, buona parte delle attività di amministrazione, … saranno diverse per ogni prodotto di virtualizzazione), costo per realtà medio-piccole non sarebbe facilmente giustificabile.

Su quest'altro punto però sono meno d'accordo: mentre per le piccole aziende è vero che ha senso concentrare le energie su un'unica piattaforma, già per le medie può succedere ad esempio che partano due progetti di virtualizzazione in parallelo, uno nel team Windows ed uno nel team Linux o Unix. Invece di obbligare tutti a convergere su un'unica piattaforma, può invece aver senso continuare ad usare ciascuna piattaforma per i propri punti di forza ed implementare un livello di astrazione che permetta la gestione e la visibilità unificata su tutte le diverse piattaforme.

C'è poi la dimensione dell'evoluzione da considerare. Se io oggi decido di concentrare tutte le mie energie sulla piattaforma A, ma domani mi fondo con, compro, o vengo comprato da una società che invece ha scelto la piattaforma B, potrei trovarmi in difficoltà. La fusione di sistemi e processi IT in questi casi è già abbastanza complessa senza mettere in campo anche una migrazione di piattaforma, per cui sarebbe utile avere a disposizione una piattaforma di astrazione che mi permetta di gestire nell'immediato le mie esigenze business e prendere con calma la decisione di migrare o meno le piattaforme di virtualizzazione.

Esiste infine anche la dimensione economica: se mi sono focalizzato su una sola piattaforma, ed improvvisamente il fornitore raddoppia i prezzi, non ho molte alternative. Se invece ho già in casa il materiale e le competenze su un'altra piattaforma, la migrazione è, se non indolore, comunque molto più semplice.